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domenica 12 luglio 2015

Re Lear. Padri, figli, eredi. Cacciari legge il gran Bardo

Sullo scaffale
Il mondo è malato, "it smells of mortality". Puzza nella sua stessa carne. Una malattia il figlio per il padre: tu sei un "desease... in my flesh", dice re Lear alla figlia. Impossibile l'intesa, ogni patto violato. Le connessioni tra gli elementi, la philia elementare che li collega si sono spezzate. Sono anomia e apoleia a regnare. A riportarci sulla scena del dramma shakespeariano ambientato in Bretagna, con il vecchio re stanco che decide di ritirarsi a vita privata e dividere il suo regno tra le tre figlie, è il filosofo Massimo Cacciari nel suo nuovo libro "Re Lear. Padri, figli, eredi" (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta, pp. 80, euro 10). Un viaggio nella tragedia familiare raccontata dal gran Bardo ma anche un'analisi tra amore e potere, tra il desiderio di restare e la legge della vita che porta sempre una notte all'uomo. "Re Lear -spiega Cacciari- è l'opera più 'apocalittica' di Shakespeare. Tutto vi precipita all'eccesso, fino al crollo di tutto e tutti: è una catastrofe cosmica, dell'intera natura. Al suo centro è la crisi irreversibile dei rapporti tra padri e figli e figlie, segnato dalla fine dell'idea tradizionale di sovranità. Il sovrano abdica; il re non sa più reggere, è diventato cieco. e quelli che vorrebbero prendere il suo posto non sono che parricidi e fratricidi". Che ci ha detto il genio di Shakespeare? "Che questa figliolanza è l'impossibile per l'uomo -rimarca il filosofo dell'Inizio- le figlie mettono immediatamente a morte il padre da cui ereditano. Chi lascia in eredità, in questo mondo, muore. Il secolo non perdona chi si illude di lasciare in eredità e continuare a vivere. E d'altra parte nessuno in questo secolo fa erede il figlio e la figlia come puro atto di dono". E allora ecco che il Padre resiste, disperatamente resiste. Non vuole eredi. Nessuno ne ritiene degno. Ma la sua ora è venuta. Dopo il Figlio potrebbe essere riconosciuto come autentico padre soltanto colui che dona. L'auctoritas di tutte le altre figure paterne decade irresistibilmente. O può durare solo come mera potestas, contro cui figli e figlie si troveranno a dover combattere. Nell'elegante edizione della casa editrice casertana diretta da Luigi Nunziante, il filosofo Cacciari riflette sul rapporto padri-figli. "È il fratricidio –ma non quello fondativo, Abele-Caino, Romolo-Remo– il grande tema del Lear, non il parricidio", è la lettura di Cacciari, che con la Saletta dell'Uva aveva già pubblicato 'Il dolore dell'altro. Una lettura dell'Ecuba di Euripide e del libro di Giobbe', ma anche 'Anni decisivi' e soprattutto 'Magis amicus Leopardi'. Rex destruens, ecco la persona di Lear. Abdicando e disunendo il regno e il potere, facendoli a pezzi, egli distrugge il nesso potere-autorità insieme alla forma del regno. La scena dei folli è anche quella dell'inesorabile tramonto del Pater-Potens. A decretarne la fine non sono però gli eredi, ma le eredi. Le figlie insieme al figliastro conducono il gioco luttuoso. Le figlie non diventano madri e alla follia dell'ultimo corpo del Re, che chiede amore, rispondono inseguendo con ogni mezzo quello stesso potere che vedono franare col Padre. Anche Cordelia? Per Cacciari "Cordelia è chi più drasticamente si ribella al Padre, al Padre che insiste nel sopravvivere oltre il proprio termine. Le altre sorelle stanno ancora, infatti, al suo antico e crudele gioco del potere. Cordelia, invece, è testimone che, nella catastrofe apocalittica che travolge ogni relazione, nessuna astuzia può più reggere, nessun compromesso dar frutto". È Cordelia a imporre l'aut-aut: vuoi amore? Allora non voler potere. Se vuoi che ti ami, non voler potere su di me. La figlia prediletta è la negazione stessa dell'erede. Eredi loro malgrado si affacciano a conflitti futuri che non sapranno reggere; le figlie vivono nella loro stessa carne la morte del Padre, ma non sanno generare in quell'amore, che pure presagiscono. Certo è soltanto il timbro della fine. Nessuna fede, neppure la più pallida fiammella -avverte il filosofo di 'Hamletica'- fonda qui la speranza che ad essa segua un giorno del Signore.