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mercoledì 16 marzo 2016

Montségur, la strage dei Catari

di Arnaldo Casali

I Catari al rogo in una miniatura.
I Catari al rogo in una miniatura.
“Lasciatemi raccontare la storia
Di un sangue bevuto dalla mia terra
Lasciatemi raccontare la storia
Di una volontà di ferro
Di una gioventù passata
Di una libertà voluta
Del vecchio sogno disperato
Di una libertà perduta”.
Così recitano le parole di una canzone scritta nel 1972 dal cantante occitano Claude Marti.
Cinquecento eravate a Montségur / Sapendo ciò che vuol dire vivere / Cinquecento eravate a Montségur / Certo siete dietro l’azzurro”.
Erano in cinquecento, il 16 marzo 1244 a Montségur, ma ne sopravviveranno appena la metà: oltre duecento, infatti, finiranno arsi sul rogo nella più grande strage di eretici mai compiuta dalla Chiesa cattolica; l’atto finale di una guerra durata cinquant’anni, che segnerà anche la fine dell’indipendenza politica e culturale dell’Occitania dalla Francia.
Erano albigesi, quei cinquecento, ovvero catari: la più celebre e popolare eresia del Medioevo, contro cui papa Innocenzo III ha lanciato una vera e propria crociata, l’unica indetta da cristiani contro altri cristiani.
L'espansione del Catarismo agli inizi del XII secolo (mappa: Mire Peisset).
L’espansione del Catarismo agli inizi del XII secolo (mappa: Mire Peisset).
Il catarismo affonda le sue radici nei primissimi secoli del cristianesimo: già i discepoli di Novaziano, nel III secolo, si autodefinivano catari, ovvero “puri”, ma è nel XII secolo ad Albi, in Occitania, che nasce il fenomeno destinato a segnare l’intera storia religiosa medievale.
Sotto il profilo teologico, l’eresia catara è caratterizzata da un radicale dualismo che contrappone bene e male, luce e tenebre, spirito e materia. Anche il divino è diviso in due: esiste un Dio malvagio, che è il Creatore del mondo e spinge l’uomo verso l’esistenza materiale; ed esiste un Dio buono, che ne è il redentore attraverso la figura di Gesù Cristo, che a sua volta non è un vero uomo, ma un angelo apparso in sembianze umane per liberare l’umanità dal dominio della materia.
L’obiettivo del cristiano è quello di liberarsi progressivamente da tutto ciò che è materiale per elevarsi verso il divino attraverso lo spirito. I catari considerano malvagio e diabolico, dunque, tutto quello che è espressione della corporeità, a partire da cibo e sesso, e arrivano a praticare il suicidio rituale come estremo atto di liberazione dal proprio corpo.
Ovviamente la Chiesa di Roma, ricca e corrotta, viene rifiutata e sconfessata dalla dottrina catara, che struttura una vera e propria Chiesa parallela con istituzioni che si pongono in diretta competizione con quelle cattoliche riscuotendo grande successo, soprattutto tra le classi sociali più umili.
La complessa elaborazione teologica degli albigesi, infatti, rimane in secondo piano – nella visione popolare – rispetto alla povertà evangelica praticata dai suoi adepti. I “perfetti” (ovvero il livello più alto che possono raggiungere gli iniziati) rinunciano ad ogni proprietà e vivono unicamente di elemosina, oltre a praticare la castità. Naturale, quindi, che vincano ogni sfida con i preti cattolici, che sono tutt’altro che un esempio di santità e distacco mondano.
Sotto questo profilo gli albigesi non fanno che raccogliere l’eredità dei patarini e dei valdesi, ma anche dello stesso movimento francescano. In tutti e tre i casi si tratta di movimenti pauperistici che si contrappongono alla corruzione della Chiesa romana. Ma se il francescanesimo rappresenta proprio la risposta cattolica agli eretici, patarini e valdesi pur contestando la Chiesa sotto il profilo teologico si mantenevano assolutamente ortodossi (i valdesi si allontaneranno dalla dottrina cattolica solo nel XVI secolo, aderendo alla Riforma protestante). Quella catara diventa quindi la più insidiosa delle eresie dai tempi degli ariani, perché attira i fedeli puntando il dito contro la corruzione della Chiesa ma a differenza di patarini e valdesi che si accontentavano di una riforma morale, mira a stravolgerne completamente la teologia.
Catari esplusi da Carcassonne (bottega del Maestro di Boucicaut).
Catari esplusi da Carcassonne (bottega del Maestro di Boucicaut).












Le prime persecuzioni contro i catari, tuttavia, non arrivano da Roma ma da Parigi: gli albigesi rischiano di scardinare l’ordinamento sociale e spesso si rendono responsabili di disordini e aggressioni a chiese e monasteri. Arresti ed esecuzioni vengono eseguiti quindi per ragioni di ordine pubblico dal potere politico, mentre la prima condanna da parte della Chiesa risale al 1179, con il terzo Concilio lateranense convocato da papa Alessandro III.
Ormai i catari hanno conquistato anche le sfere alte della popolazione, persino alcuni sovrani si sono convertiti, più o meno segretamente, e mantengono alcuni “perfetti” tra i cortigiani.
È proprio per combattere il fenomeno ereticale che Domenico di Guzman – che inizia a predicare in Linguadoca nel 1206 – fonda il suo ordine sostenendo la necessità di affiancare alla predicazione anche povertà, umiltà e carità; unico modo per apparire credibili di fronte al popolo sedotto dall’esempio di vita degli albigesi.
L’azione di Domenico riscuote subito successo: la primissima comunità domenicana è costituita proprio da donne che hanno abbandonato l’eresia.
Mentre il frate spagnolo agisce in modo totalmente pacifico, però, Roma passa alle maniere forti: viene istituito il Tribunale dell’inquisizione che ricerca, processa e condanna al rogo gli eretici e nel 1208 papa Innocenzo III indice una vera e propria crociata contro gli albigesi, affidata alla guida di Simon de Montfort.
La crociata finisce per trasformarsi in un vero e proprio genocidio: il 22 luglio del 1209 a Beziers muoiono 20mila persone tra catari, cattolici ed ebrei, compresi vecchi, donne e bambini. Arnaldo Amaury, legato papale, ordina infatti di sterminare l’intera popolazione: “Uccideteli tutti! – dice – Dio riconoscerà i suoi”.
“Corsero nella città – racconta la Canzone della crociata albigese scritta nel 1213 – agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume”.
“I nostri non rispettarono né rango, né sesso, né età – scrive, soddisfatto, lo stesso Arnaldo – ventimila uomini circa furono passati al filo della spada e questa immensa carneficina fu seguita dal saccheggio e dall’incendio della città intera: giusto risultato della vendetta divina contro i colpevoli!”.
La crociata contro gli albigesi acquisisce anche una valenza politica: Raimondo di Tolosa infatti si schiera dalla parte dei catari contro Simone di Monfort, a cui sono stati assegnati territori appartenenti alla sua famiglia. La guerra si conclude con il trattato di Parigi del 12 aprile 1229, con il quale Raimondo si sottomette al Re di Francia, riconsegnandogli – attraverso un accordo matrimoniale – i territori autonomi della Linguadoca. Gli albigesi, però, anche se privati di copertura politica, continuano la loro lotta sotterranea.
I resti del castello di Montségur.
I resti del castello di Montségur, nella regione francese dei Midi-Pirenei.
Il castello di Monstégur era stato costruito nel 1204 sotto la direzione di Raymond de Péreille, signore del luogo, come estremo rifugio per gli albigesi. Col proseguire della crociata e la caduta dei centri di resistenza catara, la fortezza aveva rivestito sempre più importanza, tanto da essere additata nel 1233 dal clero cattolico come “Sinagoga di Satana”.
Sotto la spinta dell’inquisizione affidata a francescani e domenicani, tutte le chiese catare del sud di Francia hanno cessato praticamente ogni attività e i sopravvissuti si sono dati alla clandestinità o sono fuggiti. In questo quadro il vescovo cataro Guilhabert di Castres chiede e ottiene protezione nella rocca di Montségur.
L’arrivo del Vescovo trasforma radicalmente la vita del villaggio e della fortezza, che diventa un punto di riferimento anche per tutti i feudatari catari e i loro cavalieri cacciati dai possedimenti, che iniziano ad utilizzare la rocca come base per azioni di guerriglia contro i crociati cristiani. Raymond de Péreille viene scomunicato, con conseguente confisca di tutti i beni e si unisce agli abitanti della rocca.
Nel 1242 ad Avignonnet due inquisitori domenicani, Arnaud Guilhelm de Montpellier e Étienne de Narbonne, vengono attaccati e massacrati insieme a tutto il loro seguito. Come rappresaglia le forze crociate nell’estate del 1243 attaccano Montségur. L’assedio dura quasi un anno: nel marzo 1244 dei mercenari baschi riescono a scalare il precipizio sotto la Roc de la Tour e piazzando una catapulta bombardano anche l’interno del castello. Gli assediati si arrendono e vengono poste le condizioni della resa: chi abiurerà avrà salva la vita, chi rifiuta sarà bruciato sul rogo.
Secondo una leggenda durante l’ultima notte quattro perfetti si allontanano dalla fortezza portando al sicuro il leggendario tesoro dei catari.
All’alba di mercoledì 16 marzo 1244 arriva la resa dei conti: 222 persone si rifiutano di abiurare e vengono arse vive ai piedi della rocca. Il prato dove viene eretto il rogo sarà ribattezzato Pratz dels crematz: prato dei bruciati.
Monumento in memoria dei duecento catari bruciati durante l'assedio di Montségur, 16 marzo 1244.
Monumento in memoria dei duecento catari bruciati durante l’assedio di Montségur, 16 marzo 1244.
“Ecco l’ora dei corvi
Sulla strada di Montferrier
Ecco l’ora dei corvi
Grande fiume, nero carnaio
del Papa la grande armata
del Re di Francia ribaldi
di Domenico i porci
Amen, amen, Dies Irae!”